L’attenzione mediatica si concentra nuovamente su una delle immagini più iconiche della storia della guerra del Vietnam. La fotografia nota come “Napalm Baby”, che ritrae una bambina in fuga dalle fiamme del napalm, è al centro di un nuovo dibattito attivato dalla recente acquisizione del documentario “The Stringer” da parte di Netflix. Questa situazione ha riacceso le polemiche sull’identità del fotografo che ha catturato quel momento drammatico, e l’enigma che circonda il suo archivio negli Stati Uniti si fa sempre più complesso.
Il mistero dell’archivio di Al Rockoff
Al Rockoff, un fotografo che ha documentato gli orrori dei Khmer Rossi, ha visto la sua vita trasformarsi in un enigma. Ora settantasettenne, Rockoff vive con le cicatrici di traumi psicologici e fisici, tra cui una diagnosi di stress post-traumatico. L’archivio di Rockoff, che contiene negativi preziosi, è scomparso dalla sua abitazione in Florida, sollevando interrogativi sulla sua sorte. Le scatole che custodiscono i suoi ricordi fotografici sono scomparse, portando alla luce sospetti su chi possa avere avuto accesso a queste immagini.
Il valore storico e artistico dei suoi scatti non può essere sottovalutato. Secondo l’ex moglie di Rockoff, Victoria Bornas, un collezionista identificato come Brad Bledsoe avrebbe persuaso il fotografo a cederGli i negativi in un periodo particolarmente vulnerabile della sua vita. Bledsoe, però, contesta fermamente queste affermazioni, sostenendo che fu Rockoff stesso a chiedere il suo aiuto per preservare le immagini dal deterioramento. Questo contrasto di versioni crea un’atmosfera di ambiguità intorno alla questione, mentre si cerca di capire come una collezione così significativa possa essere andata perduta.
Rockoff, che ha vissuto intensi momenti di rabbia e confusione, trova ora difficile mantenere un legame con il suo passato. La sua esperienza nel documentare violenze e sofferenze in prima linea durante la guerra ha lasciato un’impronta indelebile nella sua psiche, rendendo la sua storia ancora più complessa. La mancanza delle fotografie solleva interrogativi non solo sulla loro sicurezza, ma anche sul futuro dell’eredità di un fotografo che ha raccontato storie di grande impatto emotivo.
La disputa su Napalm Baby e i suoi autori
L’immagine di “Napalm Baby” è diventata un simbolo potente e controverso. La questione dell’autenticità e dell’attribuzione dello scatto è riemersa con l’arrivo del documentario “The Stringer”, che propone una nuova narrazione sugli eventi che hanno portato alla creazione di questa celebre fotografia. Mentre Nick Ut dell’Associated Press continua a rivendicare la paternità dell’immagine, il film sostiene che il vero autore sarebbe Nguyen Thanh Nghe, un fotografo freelance spesso dimenticato, che era presente sulla scena in qualità di autista per una troupe della NBC.
La controversia si infittisce ulteriormente con la causa legale intentata da Nick Ut contro i produttori del documentario. Ut, considerato un eroe della sua comunità, ha difeso il suo diritto all’attribuzione, sostenendo che un errore storico sta per essere commesso. Il documentario, presentato al Sundance Film Festival e ora disponibile su Netflix, segue il giornalista Gary Knight nella sua ricerca di Nghe, spinta anche dall’ammissione di Carl Robinson, ex photo editor dell’AP, che ha messo in discussione l’autenticità della storia che conosciamo.
Bao Nguyen, il regista del documentario, ha dichiarato di aver avuto inizialmente riserve riguardo al progetto, rispettando la figura di Nick Ut. Tuttavia, ha scelto di perseguire la verità e i fatti, sottolineando l’importanza della trasparenza nel giornalismo. La sua decisione ha riacceso il dibattito sulle dinamiche di attribuzione e riconoscimento nella fotoreportistica, ponendo domande cruciali sulla giustizia narrativa e sulla memoria storica.
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