Guillermo del Toro, il notevole regista messicano, ha avuto un incontro che ha segnato la sua vita all’età di sei anni: la visione di Boris Karloff nei panni della celebre creatura di Frankenstein nel film del 1931 diretto da James Whale. Questo evento ha acceso in lui una profonda passione, trasformandosi ben presto in un’ossessione: realizzare una versione personale del classico gotico di Mary Shelley. Cinquantacinque anni dopo quel fatidico incontro, del Toro ha finalmente dato vita alla sua “creatura”, offrendo al pubblico un’opera cinematografica di due ore e trenta minuti, visibile su Netflix, con un cast d’eccezione composto da Oscar Isaac, Jacob Elordi e Mia Goth.
Un racconto di paternità e creazione
Nel suo film, Guillermo del Toro prende ispirazione dalle pagine originali del romanzo di Mary Shelley, ricreando un legame intricato tra lo scienziato Victor Frankenstein e la sua creazione, trasformando il tutto in una metafora complessa che esplora il rapporto tra padre e figlio. Del Toro ha dichiarato che il tema della paternità è centrale nella sua narrazione, riflettendo sulle esperienze personali e sulla sua relazione con i propri figli. Ha descritto il padre come un’ombra, nonostante le buone intenzioni, suggerendo che se non si supera questa figura, si cresce con una “bussola rotta”.
Il regista ha sottolineato l’importanza del tema della paternità nascentes senza la presenza femminile, evidenziando come Shelley, nella sua opera, affronti questo argomento in molte delle sue storie. Questo concetto di dare vita e creare da soli è presente in “Frankenstein”, dove l’uomo si assume la responsabilità della vita e della morte. Del Toro ha voluto rappresentare questa dualità, interrogandosi su cosa significhi realmente essere genitori e sul peso delle aspettative che questa figura grava sulle nuove generazioni.
La creatura e la sua umanità
Jacob Elordi interpreta la creatura, dando vita a un personaggio ricco di emozioni contrastanti. L’attore ha preso spunto dall’osservazione della propria golden retriever, Layla, per costruire un’entità che amalgama rabbia e tenerezza. Elordi ha riflettuto su quanto queste emozioni siano vicine tra loro, soprattutto in un essere vivente che prova tutto per la prima volta, dall’aria che riempie i polmoni al contatto umano. La rappresentazione di questa creatura diventa quindi un viaggio di scoperta, una ricerca di identità e appartenenza in un mondo che la rifiuta.
Elordi ha anche condiviso i suoi sentimenti riguardo al significato che il film potrebbe avere per il pubblico. Ha espresso una certa ambivalenza nell’affermare che ciò che ha creato possa avere un impatto tangibile sugli spettatori, ma ha anche espresso la speranza che la sua interpretazione possa suscitare empatia. Come avvenne per lui con il film “E.T.” da bambino, desidera che gli spettatori possano identificarsi con la creatura e riconoscere la propria innocenza. Il desiderio di Elordi è che, nonostante le difficoltà e le ingiustizie che caratterizzano il mondo attuale, ci sia sempre un motivo per continuare a cercare la luce in fondo al tunnel.
Un’opera personale e universale
Il film di Guillermo del Toro rappresenta un’unione tra una narrazione personale e temi universali. La sua abilità nel mescolare il fantastico con elementi emotivi lo rende un’opera accessibile a un pubblico vasto, capace di toccare corde profonde. La reinterpretazione della storia di Frankenstein non è solo una questione di horror, ma di connessione umana e comprensione dei legami che si formano tra genitori e figli.
L’approccio di del Toro alla materia riesce a trasformare una narrazione tradizionale in un’esplorazione più profonda delle emozioni umane. Attraverso il conflitto tra la creazione e il creatore, il regista invita gli spettatori a riflettere sulle proprie relazioni e sulle sfide che comportano. L’abilità di del Toro nel trattare questi temi complessi, unita a una qualità visiva e narrativa straordinaria, offre uno spunto di riflessione su ciò che significa veramente essere umani e sul nostro posto nel mondo.
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